Attualità

B Critic #1 by Francesco Zurlo

Design vs Design: quale base comune?

Iniziamo da Francesco Zurlo la rassegna web di B Critic, gli editoriali critici del Bagno Oggi e Domani.

“Nella comunità del design, quella accademica e non solo, da qualche tempo è vivo un dibattito focalizzato sui confini disciplinari. Forzando potremmo individuare due poli opposti: da una parte chi ritiene, anche con giustificazioni pertinenti, che a) il design debba essere riconoscibile nell’esercizio pratico legato all’ideazione e fabbricazione di prodotti, di artefatti comunicativi, di soluzioni arredative e quant’altro tangibile e tecnicamente realizzabile, dall’altro chi ritiene che b), a fronte di una complessità crescente, il design debba occuparsi di aspetti, tangibili e non, ai quali, storicamente, è stato poco associato: pensiamo, ad esempio, a problemi specifici legati alle diseguaglianze sociali e di genere, all’esercizio della partecipazione politica attiva e propositiva, a tematiche di educazione e di accesso al conoscibile, al disagio delle comunità delle periferie urbane, al problema dell’integrazione e della migrazione. Questo, pur limitato elenco, dà l’idea di quanto ampio possa essere l’oggetto di progetto del design secondo i sostenitori di questa visione.

Credo sia difficile, oggi, individuare nell’una e nell’altra delle polarità una dimensione esaustiva e totalizzante del design, sebbene per entrambe sia possibile individuare dei denominatori comuni, forse base di conciliazione di queste (apparenti) contrapposizioni. Un primo comun denominatore potrebbe essere legato ad un concetto semplice, quanto essenziale per il design: far sì che le cose accadano. Sono cose gli oggetti che pensiamo e iniziamo a schizzare, sono cose le iniziative, ad esempio, di progettazione partecipata che danno indicazioni e spunti alle comunità locali per poter risolvere alcuni specifici problemi. Le cose accadono grazie alla tecnica. Il design, sia in a) che in b), è padrone della tecnica, sa come fare le cose.

Tecnica e design, del resto, sono da sempre aspetti accomunati dal fatto che si trovino in quel punto di frizione, sociale e culturale, tra bisogno e soddisfacimento del bisogno. E qui entra in gioco un altro aspetto significativo che accomuna le due visioni: c’è sempre un bisogno alla base dell’azione del design: il bisogno pone un problema e il design lo risolve. Talvolta accade che nella visione b), entri in gioco la questione del modo di pensare del design, il cosiddetto “design thinking”, per come lo ha divulgato il mondo nordamericano. Una visione, a mio avviso, che vede l’uomo come un “sacco” di bisogni, oggetto di analisi accurate e mirate, per individuare gap e mancanze del sistema di produzione e consumo.

Il design italiano ci ha insegnato che l’approccio al design ha un intento “critico” che va ben oltre il semplice soddisfacimento di un bisogno. È un’anticipazione critica che, trovato il bisogno, lo rielabora per individuarne traiettorie di senso. E ciò, in Italia, vale sia per a) come per b): una dimensione che varrebbe la pena valorizzare (e proteggere) come ancora attuale e significativa della nostra cultura progettuale”.