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La serrata delle aziende: intervista ad Augusto Ciarrocchi, Vice Presidente di Confindustria Ceramica

"Il problema del settore è che i nostri impianti sono a ciclo continuo e quindi non si possono accendere e spegnere facilmente. Ci vogliono giorni per riportare in temperatura i forni e ci vogliono anche soldi. Adesso possiamo preventivare di fermarci fino al 3 aprile, ma se si prorogasse questa serrata sarebbe un grave problemi per tutti.", racconta Ciarrocchi

La salute prima di tutto, un diritto imprescindibile e un DL da rispettare. Forse con qualche difficoltà maggiore rispetto ad altre tipologie di aziende, anche i produttori di ceramica sanitaria si sono adeguate comprendendo la necessità di attivare soluzioni di emergenza immediate. Ma a lungo termine potrà reggere il sistema? Vale la pena valutare soluzioni responsabili ma alternative alla chiusura totale? Ne abbiamo parlato con Augusto Ciarrocchi, Vice Presidente di Confindustria Ceramica e AD di Flaminia.

Come ha reagito il comparto di ceramica sanitaria?
Prima del Dpcm 22 marzo che ha segnato la chiusura delle fabbriche ci eravamo ben organizzati per far fronte all’emergenza. Abbiamo adottato tutti i protocolli di sicurezza, riducendo il personale presente che in questo modo aveva meno possibilità di contatto. Abbiamo anche pensato di adeguare i livelli produttivi alla situazione di mercato, diminuendo anche del 50% le quantità realizzate e cercando di vendere le merci in magazzino. Ci stavamo attivando, inoltre, per le casse integrazioni. Tutto però era studiato nell’ottica di far procedere la macchina produttiva. E poi invece il Dpcm ci ha spiazzato. Il problema del settore è che i nostri impianti sono a ciclo continuo e quindi non si possono accendere e spegnere facilmente. Ci vogliono giorni per riportare in temperatura i forni e ci vogliono anche soldi. Adesso possiamo preventivare di fermarci fino al 3 aprile, ma se si prorogasse questa serrata sarebbe un grave problemi per tutti.

Avete fatto presente queste esigenze specifiche del settore?
I decreti come sono strutturati all’oggi sono troppo generici e non tengono conto delle singole specificità, come è normale che sia per una misura di emergenza. Ora però è necessario che il governo comprenda le difficoltà di ogni comparto. Come Confindustria Ceramica abbiamo appena mandato una comunicazione alla regione Emilia Romagna per chiedere di modificare alcune istanze prese. E poi procederemo a fare delle comunicazioni a livello nazionale. Io credo che al settore produttivo possono essere chiesti dei sacrifici a nome della salute pubblica ma non ci può essere uno stop totale senza un piano.

Se dopo il 3 aprile si potessero riaprire le fabbriche come reagirebbero i dipendenti?
I nostri dipendenti si sono dimostrati molto comprensivi perché poi ne va anche del loro futuro. Il dialogo è continuo con loro. D’altra parte dopo questa emergenza avremo un problema enorme da risolvere. Se non riusciremo a trovare una soluzione che permetta di poter riaprire le attività produttive, seppure con tutti i protocolli di sicurezza necessari, sarà un problema.

Qual è la posizione che Confindustria Ceramica ha assunto nei confronti del Decreto Cura Italia?
Tutte le misure di tutela per i dipendenti e per le aziende vanno sicuramente bene, ma non sono abbastanza. C’è una quantità enorme di scadenze che bisogna rispettare che il decreto al momento non prende in considerazione. Ci sono i pagamenti verso i fornitori da rispettare, un ritardo nel pagamento verso una grande monopolista fornitore di luce e gas potete potrebbe comportare dei blocchi e quindi altri danni… Tantissime realtà rischiano di andare in crisi profonda già all’inizio di aprile. È prevedibile che qualche cliente sia italiano sia estero potrebbe non pagare ma ci sono costi per le aziende che sono inderogabili: contributi, energia, materie prime. Insomma con il decreto Cura Italia è stata messa una prima toppa. Ma quando si va nello specifico, come si dice, il diavolo si annida nei particolari. Adesso bisogna che i Ministeri lavorino per trovare nuove soluzioni e consentire di farci andare avanti anche con regole più stringenti. Chiudere tutto renderà ancora più difficile la ripresa.