Confindustria Ceramica conferma per il 2025 una crescita del settore, trainata dalle esportazioni che continuano a premiare il valore qualitativo ed estetico dei prodotti italiani e a sostenere l’apertura verso nuovi mercati. Restano tuttavia alcune criticità: ETS, dazi e concorrenza globale continuano a mettere alla prova la competitività del comparto.
Lo scorso 17 dicembre a Sassuolo, in provincia di Modena, la tradizionale conferenza stampa di fine anno di Confindustria Ceramica ha restituito la fotografia di un settore che chiude il 2025 con un cauto ottimismo, ma anche con diverse preoccupazioni. I numeri, presentati sulla base delle elaborazioni di Prometeia, parlano di vendite complessive pari a circa 386 milioni di metri quadrati di rivestimenti, in crescita del 2% rispetto al 2024.
Di questi, oltre 300 milioni sono stati destinati ai mercati esteri con +2,4% rispetto all’anno precedente, mentre il mercato interno resta sostanzialmente stabile intorno agli 85 milioni di metri quadrati, con +0,8%. Un risultato che conferma la resilienza di uno dei comparti simbolo del Made in Italy, fortemente orientato alle esportazioni, con segnali positivi soprattutto dall’Europa orientale e dal Medio Oriente. Nel complesso, anche la produzione torna a salire, con una stima di +5%.
Tuttavia, come messo in luce dal Presidente di Confindustria Ceramica, Augusto Ciarrocchi, a fronte di questi dati incoraggianti non mancano ombre. In primo piano il sistema ETS europeo sulle quote di emissione di CO₂ che, secondo l’Associazione, sta drenando risorse vitali agli investimenti. Oltre 4,3 miliardi di euro sono già stati spesi negli ultimi dieci anni per la transizione energetica, un onere destinato ad aumentare ulteriormente entro il 2031 e giudicato sproporzionato per un settore che pesa solo per lo 0,9% delle emissioni ETS europee. Da qui l’appello a Bruxelles per una revisione del sistema e per garantire adeguate tutele alla ceramica, a partire da una semplificazione delle regole per le piccole e medie imprese. Secondo il Presidente Augusto Ciarrocchi, l’impressione che arriva da Bruxelles è quella di una macchina ormai avviata e difficile da rallentare. Tuttavia, come dimostrato dal caso dell’automotive, posizioni politiche forti e coese possono contribuire a cambiare rotta. «Quello della ceramica per la Commissione europea è probabilmente una questione residuale – ha affermato il presidente. Tra i 27 Paesi dell’Unione i principali produttori sono Italia, Spagna e Polonia, una minoranza se confrontata con settori che hanno una ramificazione decisamente più significativa, quali l’acciaio o la carta. È anche per questo che il faro che stiamo accendendo con insistenza non riceve l’attenzione necessaria, nemmeno da parte di chi ci rappresenta in Europa».
Se, infatti, le risorse dovessero essere ulteriormente erose, avverte Confindustria Ceramica, il rischio di una crisi drastica diventerebbe concreto. In prospettiva, una minaccia crescente arriva dall’India, colosso che continua a esportare prodotti a prezzi sotto costo e senza standard comparabili a quelli italiani, sia sul fronte della tutela del lavoro sia su quello ambientale. A quella indiana, si aggiunge la pressione della Cina, che sta rafforzando la propria presenza nei mercati in cui l’Italia è cresciuta negli ultimi anni, dalla Penisola Arabica all’Africa. Guardando al 2026, il settore punterà dunque al consolidamento delle posizioni in Europa e negli Stati Uniti, pur in un contesto in cui la politica dei dazi continua a pesare in modo significativo sulle prospettive di crescita.

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